Giorno e notte, il corpo interviene;

ottunde o affila, colora o scolora, si scioglie come cera al calore di giugno,

si indurisce come sego nella foschia di febbraio.

La creatura dentro non può che guardare attraverso quel vetro – roseo o imbrattato;

non può staccarsene neppure per un istante, dal corpo, come il coltello dal fodero o il pisello dal guscio;

deve per forza attraversare l’intero, interminabile processo di mutamenti, caldo e freddo, comodo e scomodo, fame e sazietà, malattia e salute, finché non arriva l’inevitabile catastrofe; il corpo si rompe in mille pezzi e l’anima (si dice) fugge. “Dell’essere malati” (1920), Virginia Woolf

Nella precedente trattazione (consultabile nell’edizione di febbraio 2021 di “Ombre Svelate”) si è discusso in un’ottica generale ed ampia della tematica “body image” (immagine corporea) quale elemento sommerso ed inesplorato all’interno della branca neurochirurgica: analizzando gli aspetti che definiscono e che creano gli antecedenti necessari alla “percezione dell’immagine corporea” si è giunti alla conclusione che tale argomento possa essere importante per:

  • implementare gli esiti di salute dei pazienti e della famiglia;
  • favorire politiche di miglioramento organizzativo sia intra che extra-ospedaliero agendo sui Percorsi Diagnostico-Terapeutici-Assistenziali;
  • agevolare l’umanizzazione delle cure diffondendo i principi cardine della Slow Medicine;
  • potenziare le competenze “soft” degli operatori sanitari;
  • sensibilizzare la popolazione in merito a temi quali la disabilità e la malattia, contrastando attivamente l’abilismo;
  • iniziare ad indagare una potenziale area di studio ricca di materiale.

A proposito di spazi non ancora sondati, Virginia Woolf affermò nel saggio “Dell’essere malati” che:

la letteratura si è sempre occupata più della mente che del corpo […] perché ci vuole una solida filosofia per parlare del corpo.

Il problema principale correlato all’argomento è proprio questo: manca un solido paradigma su cui ipotizzare teorie a lungo-medio raggio. Inoltre in letteratura gli spunti di riflessione sull’immagine corporea vertono maggiormente in ambito senologico e dei disturbi del comportamento alimentare (anoressia nervosa e bulimia).

Cosa è, quindi, la “body image”? Due sono le definizioni più coerenti e attuali:

  • l’immagine mentale personale della forma, della dimensione e della taglia del corpo e dei sentimenti che proviamo rispetto a queste caratteristiche e alle singole parti fisiche (Costa, 2004);
  • il quadro mentale percettivo e cognitivo-affettivo che ci facciamo del nostro corpo (Schilder, 1971).

 È stato provato che la deformazione corporea (disfigurement) e l’alterazione funzionale di uno dei distretti corporei (dysfunction) nelle persone affette da tumore del sistema nervoso centrale sottoposte a trattamenti farmacologici/chirurgici rappresentano gli antecedenti di manifestazioni sociali e psicologiche negative:

  • riduzione dell’autostima,
  • ansia,
  • distress,
  • depressione,
  • imbarazzo,
  • vergogna,
  • isolamento

che si esplicano con l’abbandono degli hobby e della rete amicale (Rothen et al, 2016).

La qualità della vita (QoL) della persona risulta fortemente compromessa come evidenzia la più recente revisione della letteratura sulla tematica. La University Health Network (UHN) di Toronto ha creato un manifesto informale consultabile sul proprio sito dai cittadini e dai “Cancer Survivor” con lo scopo di sostenere la body image nei malati di tumore, proponendo dei suggerimenti tra cui:

  • darsi tempo” per accettare il nuovo corpo dato che “è normale non riconoscersi” inizialmente;
  • prendersi cura del proprio corpo”, attraverso l’alimentazione, l’attività fisica ed i trattamenti estetici volti a favorire il benessere;
  • parlare con altre persone che hanno o stanno affrontando lo stesso percorso di cambiamento” (creazione di Gruppi di Auto Mutuo Aiuto o di Online Comminities come nel caso dell’ospedale di Toronto);
  • partecipare a programmi/iniziative no-profit volti a promuovere l’immagine corporea” (A Toronto: “Look Good, Feel Better”; anche in Italia sono stati avviati dei progetti di natura estetica/cosmetica promossi dalle unità operative o dalle associazioni soprattutto per donne affette da neoplasia);
  • chiedere sostegno psicologico” ed usufruire di tecniche a mediazione corporea (es. tecniche ipnotiche e di rilassamento progressivo).

Un’azione fondamentale che i professionisti della salute dovrebbero attuare quando trattano pazienti a rischio di sviluppare un’alterata percezione del sé è l’accertamento della percezione dell’immagine corporea. La letteratura propone molteplici validi strumenti in grado di supportare quest’attività. Per quanto riguarda l’ambito neurochirurgico, lo strumento ritenuto più idoneo è quello sviluppato dalla Medical University of South Caroline, la quale ha avviato un programma di ricerca sulla “body image” nella sfera dei tumori testa-collo nel 2019 tuttora in atto. Lo strumento è un questionario auto-somministrato (IMAGE-NH) in cui il paziente esprime una personale valutazione dei propri esiti di salute (Patient Reported Outcomes – PROs). Sono determinate, inoltre, classi di punteggio che riflettono la gravità del disturbo dell’immagine corporea suddivise in quattro categorie:

  • distress correlato alla compromissione funzionale (DFI);
  • preoccupazione correlata a come gli altri valutano la nuova corporeità (OOA);
  • insoddisfazione dell’aspetto personale (PDA);
  • evitamento ed isolamento sociale (SA).

Tra le affermazioni che la persona deve commentare attribuendo un indice di frequenza (mai, raramente, a volte, solitamente, sempre) vi sono: “sono imbarazzata quando mangio in presenza di qualcuno”, “evito di avere rapporti intimi”, “mi imbarazza parlare”, “non mi piace il mio sorriso”. In base ai risultati ottenuti l’equipe multidisciplinare decide quali interventi realizzare.

Sarebbe interessante indagare in che modo i pazienti affetti da malattie “neurochirurgiche” si auto-rappresentino graficamente su supporti cartacei o digitali, analizzando come le singole parti del corpo e l’immagine corporea nella sua interezza siano raffigurate (metodica utilizzata nei disturbi del comportamento alimentare; sono disponibili softwares che impiegano una simulazione dell’immagine del soggetto o una fotografia del paziente).

Il raccontarsi (anche attraverso un questionario) equivale a mettersi a nudo ed esporre al mondo le proprie ferite simboliche: la narrazione costruisce un legame tra presente e futuro in grado di dare senso all’esperienza di malattia (Cardano M., 2015).

La Medicina Narrativa si inserisce positivamente nel discorso sulla body image poiché potenzialmente permette alla persona di esprimere pienamente il vissuto di modificazione corporea ed all’operatore sanitario di coglierlo senza filtri.

Pochi sono gli studi di stampo qualitativo effettuati e pubblicati in ambito neurochirurgico, ancor meno gli studi che valutano l’efficacia di strumenti elaborati dalla Narrative Medicine sulla presa in carico ottimale e personalizzata dell’utente “neurochirurgico” e sui suoi risultati di salute (non esclusivamente fisica). La cartella parallela è un documento che potrebbe essere introdotto nei reparti di neurochirurgia: il fine è quello di appuntare con un linguaggio non tecnico l’esperienza del paziente durante il periodo di cura, umanizzandole. Si potrebbero diffondere, inoltre, diari autobiografici condivisi ad uso dei malati (come già avviene in reparti oncologici o nelle terapie intensive).

Riprendendo gli antecedenti “disfigurement” e “dysfunction” si possono delineare le seguenti proposte di azione per arginare o minimizzare gli effetti sul body image:

  • accordare con il paziente (nei limiti) un disegno preoperatorio (nelle craniotomie) con la finalità di ridurre la rasatura ad una linea sottile parallela alla futura incisione cutanea;
Pre-operative image planning, da Frati et al, 2006
  • introdurre l’uso di turbanti, fasce, cappelli o parrucche per nascondere la ferita cranica. Look Good Feel Better sul sito mette a disposizione dei tutorials in cui si insegnano come confezionare artigianalmente turbanti o come curare le parrucche e creare vari styling;
  • favorire corsi di make-up, mindfulness, danzaterapia e musicoterapia nei reparti;
  • creare gruppi di lavoro formati da diverse professionalità;
  • agevolare la fisioterapia in ogni sua forma precocemente;
  • garantire un servizio psicologico di riferimento;
  • attuare strategie volte a minimizzare l’impatto negativo rispetto alla propria immagine quando la persona si guarderà per la prima volta allo specchio dopo l’intervento chirurgico;
  • comunicare attivamente ed anticipare i possibili cambiamenti corporei che potrebbero avverarsi;
  • impiegare (se possibile) ortesi volte al recupero funzionale di distretti corporei.
Molla di Codivilla, usata in caso di piede equino o affetto da deficit di flesso-estensione

Nel prossimo numero di “Ombre Svelate” sarà pubblicata una testimonianza in cui la persona narrerà coraggiosamente la propria esperienza di vita associata al ricovero nell’unità operativa di neurochirurgia ed alle trasformazioni corporee subite dopo un incidente stradale. Il racconto sarà successivamente codificato in chiave fenomenologica.

 
Ombre Svelate ringrazia l’autrice Jessica Astori
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