La ricerca scientifica accende ogni giorno piccole e grandi luci nella battaglia contro il tumore, a fianco di chi soffre, con il chiaro obiettivo di ridurre l’impatto della malattia sulla vita delle persone. Oggi vi parlerò di una di queste luci che si sta accendendo e che potrebbe cambiare radicalmente il percorso di questi pazienti: la biopsia liquida.
La storia della malattia inizia sempre dai sintomi, più o meno marcati, che presenta il paziente. Questi sintomi portano all’esecuzione di una risonanza magnetica cerebrale, e pertanto all’identificazione di una massa tumorale. Tuttavia, l’istologia (ovvero il nome e il cognome) della malattia attualmente viene ottenuta soltanto mediante l’analisi in laboratorio di un campione del tumore, ottenuto abitualmente mediante una biopsia chirurgica, ovvero un intervento in cui il medico “prende” un pezzettino del tumore per analizzarlo. L’intervento chirurgico risulta pertanto ancora fondamentale per iniziare l’iter diagnostico-terapeutico di un tumore cerebrale.
Le immagini radiologiche possono indirizzare il sospetto riguardo al tipo di tumore che ci troviamo a trattare, ma non possono scendere nel dettaglio dell’analisi genetica e molecolare, al giorno d’oggi sempre più precisa e puntuale.
La ricerca scientifica ha, infatti, identificato degli specifici geni che sono mutati in alcuni tipi di tumori cerebrali e che ne determinano le caratteristiche. Le informazioni derivanti dall’analisi istologico-molecolare sono rilevanti quindi non soltanto da un punto di vista diagnostico (ci dicono che tipo di tumore è) ma anche da un punto di vista terapeutico (ci dicono a quale trattamento quello specifico tumore risponde meglio) e prognostico (ci dicono quale è l’andamento tipico di quel tumore).
L’intervento chirurgico, oltre ad essere la chiave di volta per la diagnosi istologica, è anche un’azione terapeutica, perché la rimozione fisica della maggior parte della massa tumorale rappresenta il primo passo della terapia che il paziente deve intraprendere.
In molti casi, purtroppo, dopo un primo intervento chirurgico, il tumore cerebrale si ripresenta, nella stessa sede o in sedi adiacenti, come nel caso dei gliomi. Spesso si rende necessaria una nuova operazione chirurgica per l’asportazione della recidiva. Questo avviene perché la resezione chirurgica in un tessuto delicato come quello cerebrale non può mai essere troppo aggressiva. Infatti un intervento troppo aggressivo potrebbe portare al paziente dei deficit neurologici permanenti nel post-operatorio, compromettendone la qualità di vita e le possibilità terapeutiche successive. Purtroppo però il tessuto che circonda il tumore è sede del 90% delle recidive, per l’infiltrazione del tessuto sano da parte di cellule tumorali provenienti dalla massa principale.
Come per la prima diagnosi, anche una recidiva di tumore cerebrale viene identificata dalla risonanza magnetica, anche se spesso è difficile distinguere una recidiva dalla radionecrosi.
Il protocollo per il trattamento dei tumori della serie gliale di alto grado prevede attualmente l’impiego della radioterapia post-intervento chirurgico. Questa tecnica purtroppo, sebbene molto utile, presenta un effetto collaterale noto come radionecrosi, ovvero la morte (necrosi) del tessuto cerebrale per insufficiente apporto di sangue nella zona radio-trattata. L’aspetto radiologico che assume la zona del cervello con radionecrosi in molti casi non è differenziabile dall’aspetto di una recidiva tumorale della serie gliale di alto grado. Il medico, in altre parole, si trova costretto ad effettuare un nuovo intervento chirurgico per capire come sta evolvendo la malattia: si tratta di un nuovo tumore, che deve essere rimosso, o si tratta di un effetto della radioterapia? Il paziente deve subire un nuovo ricovero ed una seconda operazione, con tutte le conseguenze fisiche e psicologiche che questo comporta.
Ma che cosa accadrebbe se ci fosse un modo più semplice per ottenere queste informazioni? Come sarebbe possibile ottenere le stesse informazioni che si ottengono dall’analisi istologica di un campione prelevato chirurgicamente in un modo meno invasivo, più rapido e altrettanto valido?
Dobbiamo immaginare il tumore cerebrale come un ammasso cellulare in crescita che, come tutte le cellule, rilascia del materiale nell’ambiente che lo circonda. Nell’ambiente circostante il tumore possiamo trovare sostanzialmente 2 tipi di materiale da analizzare:
- Singole cellule tumorali circolanti: si tratta di cellule intere, provenienti dal tumore, dai suoi margini più periferici, che si sono staccate dalla massa principale e che vagano nello spazio peri-tumorale.
- Frazioni cellulari (DNA, RNA, proteine): non sono cellule intere, ma frammenti di cellula. Porzioni di materiale molto più piccole di una cellula, ma estremamente significative. DNA e RNA rappresentano come una “firma” microscopica, che consentono ai ricercatori di saperne la provenienza, assieme a molte altre informazioni.
Il Sistema Nervoso Centrale è bagnato dal liquor cefalorachidiano, che è presente sia nel midollo spinale che nel cervello. Questo fluido è un punto di analisi privilegiato perché è in diretto contatto con l’ambiente tumorale e con tutto ciò che il tumore cerebrale produce. La rachicentesi (o puntura lombare) è una tecnica che consente di prelevare un campione di questo fluido mediante l’inserimento di un ago all’interno del canale spinale e di analizzarlo. Si tratta di una tecnica sicuramente meno invasiva e più sicura rispetto ad una biopsia cerebrale o ad un’asportazione chirurgica completa.
Immaginate di poter esaminare questi elementi prodotti dal tumore e presenti nel liquor cefalorachidiano: i risultati di un test di questo tipo possono attestare l’istologia del tumore (il nome e il cognome) in una prima diagnosi, discriminare tra vera recidiva tumorale e radionecrosi in un paziente già operato, senza necessità di rioperarlo, senza necessità di ricovero, degenza post-operatoria e rischio di complicanze. Si tratta di una vera e propria biopsia, ma eseguita “lontano” dal tumore, su un liquido che è in diretto contatto con esso: una biopsia liquida.
Gruppi di ricerca in tutto il mondo stanno ottenendo risultati significativi ed incoraggianti dall’applicazione della biopsia liquida, anche se è giusto premettere che si tratta di una frontiera sperimentale della neuro-oncologia e che ancora moltissimo deve essere fatto.
La biopsia liquida ha un altro grande vantaggio rispetto alla biopsia tradizionale. I tumori gliali di alto grado presentano un’altissima variabilità molecolare e genetica all’interno dello stesso tumore: ci sono zone del tumore che presentano determinate mutazioni e zone che ne presentano altre, zone in cui è più semplice osservare le mutazioni genetiche tipiche di quello specifico tumore e zone dove invece sono più rare. La variabilità “intra-tumorale” è una grave limitazione per le biopsie chirurgiche perché il tessuto prelevato in un punto della massa tumorale può essere molto diverso da quello prelevato in un altro, e le decisioni cliniche prese sulla base di quei risultati possono essere altrettanto diverse. La biopsia liquida invece consente di avere un’analisi “in tempo reale” dell’evoluzione della malattia, perché non si concentra su una zona tumorale specifica, ma analizza ciò che il tumore produce nella sua interezza.
Alcuni nuovi studi stanno testando la possibilità di effettuare lo stesso tipo di analisi semplicemente attraverso un prelievo di sangue venoso, anche se i risultati cono ancora oggetto di studio e validazione.
Tuttavia, le evidenze scientifiche ci permettono già di avere un “indicatore” che ci suggerisca come il tumore risponda alla chemioterapia e alla radioterapia. Le ricerche sulla proteina MGMT, nei pazienti affetti da glioblastoma, hanno svelato che la sua variazione nella concentrazione nel sangue correla con la risposta del tumore al farmaco temozolomide, che è attualmente il chemioterapico di prima scelta per il trattamento del glioblastoma. In questo modo, il dosaggio della proteina ci permette di sapere se quello specifico glioblastoma stia rispondendo o meno alla terapia somministrata.
La biopsia liquida è considerata oggi una delle nuove frontiere della neuro-oncologia e della neurochirurgia, un campo di ricerca estremamente attivo e che ha ancora molto da offrire alla scienza medica e soprattutto ai pazienti, andando ad accendere sempre più luci sulla malattia per poterla, un giorno, sconfiggere definitivamente.
APPROFONDIMENTO
Un gruppo dell’Università della California (Akers et al., 2017) analizzando una piccola sequenza di RNA isolata nel liquor cefalorachidiano (chiamata 9-miRNA) su un gruppo di 22 pazienti, è stato in grado di diagnosticare correttamente l’istologia del tumore cerebrale in 8 casi su 10. In altre parole, hanno ottenuto le stesse informazioni che di solito otteniamo mediante un intervento chirurgico senza però operare il paziente. Un altro lavoro condotto dall’Università di Harvard (Teplyuk et al., 2012) condotto su 19 pazienti ha identificato la presenza di un’altra molecola di miRNA (miR-10b) in 17 casi su 19 sviluppando una sensibilità diagnostica del 90%.
Ma i limiti della ricerca sono stati spinti ancora più lontano.
Il liquor cefalorachidiano è sicuramento un mezzo di analisi privilegiato per la sua vicinanza al sito di origine del tumore, ma pensate se queste stesse analisi fossero possibili andando a dosare le proteine, il DNA e l’RNA del tumore non più nel liquor ma nel sangue, mediante un semplice prelievo venoso. Al posto di un ricovero di giorni in ospedale e di un intervento chirurgico al cervello, un prelievo ematico.
Questo è quello che hanno pensato i ricercatori cinesi dell’Università di Jinan (Xiao et al., 2016), i quali hanno monitorato i valori di un’altra molecola correlata al glioblastoma (miRNA-205) e hanno dimostrato come la concentrazione ematica di questa molecola si abbassi considerevolmente se il paziente presenta una recidiva di glioblastoma. Risulta evidente quindi come sia possibile per il medico utilizzare questo parametro per capire l’andamento della malattia: se c’è il dubbio diagnostico tra recidiva e radionecrosi non ci sarà più la necessità di operare il paziente per ottenere una biopsia cerebrale ma sarà sufficiente fare un prelievo ematico per avere la risposta e dato che il prelievo ematico è facilmente ripetibile e poco invasivo sarà possibile fare un monitoraggio serrato della malattia nel tempo, cosa che attualmente non è possibile fare con le biopsie chirurgiche.
Non è ancora chiaro come questi elementi cellulari prodotti dal tumore riescano ad arrivare nel sangue, e sicuramente la loro concentrazione è inferiore rispetto a quella che si può trovare nel liquor cefalorachidiano, ma sempre più studi confermano che questo tipo di analisi è possibile. Si tratta chiaramente di studi sperimentali, che richiedono ulteriori e rigorose conferme, ma che davvero possono cambiare il percorso di tutti quei pazienti che vivono questa situazione, e che allontanano almeno un po’ quella paura del dolore che è sempre presente.
BIBLIOGRAFIA
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Ombre Svelate ringrazia per l’importante contributo il Dr Luca Zanin – Medico in Formazione Specialistica in Neurochirurgia, Università degli Studi di Brescia