I pazienti neuro-oncologici spesso hanno la tendenza a giudicare sé stessi in modo severo, autocritico. Pensieri come “Se non miglioro..”, “ mi devo sforzare..”, “non ci riesco..”, “ho fretta di ritornare come prima..” ricorrono frequentemente nei pazienti durante il loro percorso terapeutico.
Questo fenomeno è conosciuto come il fenomeno delle due frecce, secondo il quale il dolore iniziale causato da un evento della vita (la prima freccia) si acuisce per l’effetto della sofferenza causata dal giudizio su se stessi (la seconda freccia). Oltre a questo giudizio rivolto verso se stessi, i pazienti tendono a subire l’effetto di alcune parole che vengono pronunciate dalle persone a loro vicine. Queste parole possono diventare pensieri e, a loro volta, costituire un ulteriore elemento con cui il paziente giudica se stesso.
“Come sei forte..”, “Tu che sei forte..”, “Tu ce la fai perché sei forte”
A volte queste parole nascono dalla difficoltà da parte di parenti ed amici ad entrare in relazione con una persona che si trova in una condizione di fragilità e dal bisogno di vedere quella persona come “forte” e “resiliente”. Questo nasce dall’amore e dalla preoccupazione, dal desiderio di incoraggiare, e non certo da poca empatia.
Può succedere che il paziente inizi a ripetersi frasi di questo tipo, nello sforzo di incoraggiare se stesso per affrontare il proprio percorso. Tuttavia, con il passare del tempo, il paziente che continua a ricevere solo questo tipo di attenzioni rischia di isolarsi dalle altre persone. Infatti, egli potrebbe aver bisogno che oltre alla propria forza venisse percepita la sua fragilità, la sua fatica, che venisse compreso il suo sforzo nell’affrontare le difficoltà.
“Non riesco a essere sempre forte come gli altri si aspettano”
“Perché non mi capiscono?”
Il consiglio al care-giver potrebbe essere di empatizzare anche con la fragilità, rimanendo con tutte le emozioni del proprio caro, quelle che ci sono, anche se difficili. Questo concetto aiuta a comprendere quale sia la vera forza. La forza non deve essere vista come il non sentire i pensieri e le emozioni difficili, né come la capacità di nasconderli, mascherarli o combatterli. È importante che il paziente riesca a fare questo passo, sviluppando l’auto-compassione e comprendendo a pieno il significato dell’essere forte. Accettare i propri limiti, rinunciando al bisogno di perfezione e accettazione sociale, fare i conti con le proprie perdite, sono compiti che richiedono coraggio, e ciò è possibile solo se dentro di te esiste una voce che sia gentile, d’aiuto e di sostegno piuttosto che fredda, critica. L’auto-compassione non è una debolezza né un giustificarsi, ma un neutralizzare l’auto-critica. Come tutte le dimensioni psicologiche presentate, anche la compassione nei propri confronti può essere aumentata. Un utile esercizio è la stesura di una lettera immaginaria, che ipotizziamo venga indirizzata a noi stessi da parte di un amico.