Editoriale – Maggio 2022
L’Editoriale del mese è un pensiero di Stefania, curatrice del nostro Blog e di moltissime altre iniziative di AIRNO. Vi invitiamo a leggerlo con attenzione. Grazie Stefania.
Questa riflessione (L’Egoismo di un Urlo calpesta i Bisogni del Silenzio) capita proprio dopo una discussione fra me e mia cugina Giuliana, mamma di un uomo che, all’età di 32 anni, si è ammalato di “cancro cerebrale” (un glioblastoma), andandosene in poco tempo … un vuoto profondo per tutti.
Il malato “invisibile” spesso non ha il “megafono” attraverso cui manifestare la propria sofferenza o chiedere aiuto … o, forse, il “megafono” è lì davanti a Lui, ma Lui non vuole utilizzarlo o non riesce a farlo.
Il cancro al cervello sa essere una malattia “tragicamente” invalidante e spesso sbrigativa, termine scelto per fargli un complimento (per quanto non se lo meriti). Ho già ripetuto più volte che nei miei giorni di visita all’istituto del Radio ho quasi la certezza di essere fortunata nella mia “incertezza”. Cammino, parlo, lavoro, mi presto per aiutare gli altri, mi emoziono, canto addirittura … stanchissima a volte, ma viva.
Alle visite, ci sono pazienti, più giovani di me, che hanno difficoltà a parlare, a muoversi … Quindi, che voglia avrei di parlare di me, della mia malattia, della mia sofferenza, se fisicamente non ci riuscissi o addirittura me ne vergognassi?
Perché, ammettiamolo: la parola “Cancro” appare spesso come una bestemmia, una punizione.
Mio padre, per il quale, a ragione, “l’ottimismo è il profumo della vita” di UN ALTRO, si chiede tutti i giorni cosa abbiamo fatto di male per meritarci tutto questo. Con Lui non posso accennare minimamente alla malattia … è come se la parola stessa “cancro” lo pugnalasse al cuore. Lo comprendo, ma è chiaro che Lui non ce la farebbe mai ad essere il mezzo attraverso cui esprimermi, se non potessi farlo. Nemmeno riuscirebbe a manifestare le proprie emozioni!
E con lui anche tutte le altre persone legate a me da sentimenti profondi.
Per Giuliana è andata allo stesso modo. Nessuna volontà di rivelare il proprio dolore, annegato da se stesso e dalla realtà di un figlio, giovane, colpito da un male che prima ti inciampa, ti priva di ogni energia, di ogni capacità e poi sa anche “ucciderti” (passatemi il termine … senza pensare che questo potrebbe essere, a breve, il mio destino).
Il malato “invisibile” trascina nel lutto tutte le persone che lo amano e il “silenzio” diviene quasi rumore nel luogo appartato dove nessuna domanda trova risposta … Il “silenzio” è il velo dietro cui ci si convince che queste situazioni inspiegabili scompaiano, si risolvano … Ed è rabbia, rabbia radicata contro non si sa chi, perché, spesso, solo un miracolo è capace di risolverle … neanche la forza di pregare, ahimè.
Chi assiste, si sente travolto dalla sua impotenza. Lo shock, si alterna al dolore, la vita “declina” nella stanza di chi è malato, dimora della sua anima e del suo corpo … l’agire si riduce alla “cura” e prevale il silenzio.
È in seguito, quando tutto si chiude, che il silenzio vorrebbe diventare parola, espressione di quella sofferenza radicata che lascerà parte di sé in ogni angolo dell’anima … ma il coraggio di urlare non è nelle capacità di tutti.
A tutte le persone che “si prendono cura” …
Stefania