Editoriale – Estate 2021

I have to focus on my mental health

“Devo concentrarmi sulla mia salute mentale” è la frase con cui la Campionessa Simone Biles si congeda dalle Olimpiadi. Tokyo l’aveva già incoronata regina e gli Stati Uniti pretendevano da Lei un solo risultato. Ma non si tratta di una semplice debacle di un atleta che non ha saputo reggere le aspettative riposte in Lei. Quanto accaduto va interpretato come una fisiologica risposta della mente umana agli stimoli provenienti dall’esterno.

Un atleta è abituato a confrontarsi con le sfide e da queste trae linfa vitale per la propria esistenza. Quando vengono a mancare, il risultato può essere anche drammatico, come insegna l’esperienza di grandi atleti del passato. L’adrenalina generata dalla competizione e le aspettative mediatiche sono aspetti comuni per la vita di un atleta e non rappresentano un ostacolo al conseguimento degli obiettivi che si pone. Se così fosse, non avremmo mai avuto il piacere di ammirare campioni del calibro di Usain Bolt, Nadia Comaneci, Mark Spitz e Pietro Mennea. Allora come possiamo interpretare la volontà di Simone Biles di rinunciare ai Giochi che l’avrebbero potuta consacrare, per dare invece ascolto alla sua mente?

Lo sport può essere visto come una vetrina che permette di analizzare il pensiero umano senza filtri. Una sorta di metafora semplificata della vita in cui si gioca a “carte scoperte” dichiarando i propri obiettivi e mettendo in atto le strategie necessarie per raggiungerli. Gli atleti devono sviluppare le proprie potenzialità, che necessariamente prendono il sopravvento sulle loro fragilità. La rottura di questo delicato equilibrio porta al fallimento sportivo ed alla necessità di offrire una risposta alle emozioni negative generate dalla sconfitta. La soluzione può essere ottenuta da un’analisi critica delle fragilità e da un percorso di recupero che permetta di superarle senza limitarsi esclusivamente a pensare che non esistano.

Nello sport, come in medicina, esistono delle situazioni a cui si cerca di non pensare, delle paure che si prova ad arginare relegandole ai margini della nostra mente.

La paura di ammalarsi, di dover affrontare un percorso di cura e di poter avere delle ripercussioni sul proseguimento della propria vita ci rende più fragili di quanto potrebbe la malattia stessa, mentre la piena comprensione e l’accettazione di una fragilità rappresentano il primo obiettivo da raggiungere per riuscire a riprendere il proprio cammino.

L’esempio di Simone Biles dimostra quanto possa essere importante affrontare le proprie paure per riuscire a tornare sè stessi. Un esempio per tutti di come sia necessario ascoltare e dare una risposta concreta alle proprie fragilità, senza nasconderle, per riuscire a superarle. Manifestare le proprie insicurezze, soprattutto durante la malattia, non è mai una manifestazione di debolezza, ma una richiesta di aiuto che deve essere recepita come tale, compresa e correttamente interpretata per dare una risposta di sollievo al malato.

Un pianto liberatorio, una richiesta d’aiuto ed una “pausa” per riscoprire sé stessi possono contribuire a risolvere disordini del pensiero resi critici dall’inefficace tentativo di affrontare le proprie debolezze fingendo che non esistano.

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