La mia famiglia è stata accompagnata da un karma un po’ pesante. Eviterò di raccontarvi tutti gli eventi che l’hanno segnata prima della nascita di mio fratello e mia, e anche dopo, perché questo aspetto, insieme all’atteggiamento pessimistico dei Miei, ha condizionato la nostra esistenza rendendoci più o meno diffidenti e privandoci di alcune gioie che, benché non semplice, la vita poteva donarci. Nonostante tutto, non ci è mancato nulla; papà e la zia, e aggiungo anche la nonna, avrebbero fatto qualsiasi cosa per Noi, ma certe richieste erano una battaglia già inizialmente persa, perché “se poi capita qualcosa di male!!!“…

Nel 2015 ho subito un piccolo intervento, di cui ho parlato con poche persone, ossia quelle che avevano necessità di sapere che non sarei stata presente per una settimana. Non posso dire che mi imbarazzasse parlarne, no assolutamente! Ma non volevo coinvolgere nessuno, soprattutto nel caso avessi dovuto affrontare qualcosa di poco bello (l’ipotesi c’era). Ringrazio mia zia, che è stata con me il pomeriggio dell’intervento, e quelle amiche, cui avevo raccontato tutto, che sono venute a trovarmi… Ma percepisco ancora adesso il senso di solitudine di quei giorni…

Quanto è successo nel 2019 ha scatenato invece una serie di contatti, che hanno coinvolto geograficamente mezza Italia (non scherzo!). Non c’è stato momento agli orari di visita in cui sia stata sola; a volte la stanza era pienissima fra amici e parenti (so che non è bello dirlo ora, in cui in ospedale ci si deve stare per forza da soli). Per me si è mosso mezzo mondo di parenti e amici, anche persone, a me care, che non vedevo da “mo’”. C’era sempre qualcuno pronto ad accompagnarmi in ospedale per la radioterapia, le visite e gli esami. Qualcuno ogni giorno a casa dei miei, mentre sono stata ospite da loro, per parlare, per sostenermi, farmi solo compagnia. Ognuno ha detto la propria, a volte anche in maniera un po’ tosta, di certo inconsciamente … ma tutto ciò mi ha fatto sentire (lo fa anche ora), molto amata.

Non è semplice raccontare della propria malattia, forse per paura, voglia di tenersi i fatti propri per sé, timore di suscitare pietà o compassione (mai sentite nella mia realtà… fuori non so), o forse perché la malattia ti fa sentire quasi “sbagliato”.

Il “Perché” della malattia me lo chiedo soprattutto adesso, nei miei momenti di estrema stanchezza, di effetti collaterali poco piacevoli, spesso miei “compagni di merende” insieme al male; quei momenti del “non ce la faccio“, quelli in cui ti viene da ridere, per non piangere, se qualcuno ti dice “ma tu sei una roccia, tu sei brava!!!“.

Tutto questo, anche un po’ fuori tema (stream of consciousness), è per invitare chi sta soffrendo a parlarne, chiedendo sostegno e amore, non compassione (invito anche per i caregivers nel senso del “dare)…… e per ringraziare chi tuttora mi sostiene (mia cognata, prima di tutto … per ora eviterò di raccontarvi le nostre avventure in neurochirurgia ed in macchina ), tutta la mia famiglia estesa, tutte le amiche e gli amici, che non serve io citi … Loro lo sanno. Tutte le persone, medici compresi, a cui la malattia mi ha legata con affetto, tutti coloro incontrati finora, anche malati, con cui il confronto, spesso, è avvenuto tramite un sorriso.

Non semplice… ma GIORNO PER GIORNO…

A presto Stefania

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