Il 2 luglio è un giorno un po’ particolare. Non è un caso che io abbia “schiantato” l’auto sullo spigolo di casa di mia nipote nel fare la retro… ammaccatura al paraurti ed al portellone posteriori… Ridiamo…

Il 2 luglio 2019 ho avuto l’esito dell’istologico. All’appuntamento in ospedale sono arrivata accompagnata da mia cognata, mia fida compagna ormai da un mese e mezzo.

Ho incrociato la mia anestesista, il logopedista, entrambi ben felici di vedermi.

Il fatto che avessero spostato l’appuntamento di una settimana, pareva alquanto confortante. “D’altro canto se spostano l’appuntamento, è perché non hanno argomenti importanti (o “impanicanti”) da riferirmi!”

Ne ero quasi convinta, sostenuta anche dall’opinione del mio medico di base. In attesa davanti alla porta della sala riunioni in fondo al corridoio della neurochirurgia maschile, controllavo mia cognata perché all’appuntamento precedente, quello in cui mi avevano tolto i punti, non si era sentita bene. In realtà li eravamo tranquille.

Devo prepararmi spiritualmente?” Il mio tono era quello della persona scherzosa di sempre. Il medico disse che non era necessario e, mentre ci sedevamo intorno al tavolo, cominciò a parlarmi, a chiedermi come stavo, domande di routine da rivolgere ad ogni paziente.

All’esposizione dell’esito dell’istologico, ho capito che se ti rimandano l’appuntamento non significa che l’esito non sia grave. Mi ricordo “glioblastoma” e la mia reazione “sono morta!” … non una lacrima, non la disperazione, ma tanta rassegnazione. Penso di aver spiazzato tutti intorno a quel tavolo: mia cognata che avrebbe voluto scomparire, il medico nell’imbarazzo improvviso di non sapere cosa dire. Parlava con UNA che di “glioblastoma” aveva sentito raccontare, che aveva visto suo zio morire (glioblastoma, glioma, nessuna certezza, a parte la devastazione fisica e psicologica della persona). Nel silenzio successivo a “La malattia è qualcosa che cambia a seconda di come la affronti, dei motivi che ti tengono qua”, ho pensato, egoisticamente, che nulla mi stava ancorando alla vita. NULLA… Vita affettiva disastrosa, famiglia, un complimento definirla una palla al piede, lavoro… ADESSO NON POTRÒ PIÙ LAVORARE!

Ricordo il “ciao Stefania” del medico alla fine dell’incontro e la mia seduta successiva dalla neuropsicologa. Sottolineo … NON UNA LACRIMA, MA UN SENSO DI VUOTO TOTALE

Ho impiegato due giorni per capire che DOVEVO RIEMPIRMI DI ME STESSA. A volte me ne dimentico e devo ricordarmelo, anche insistentemente. Credo però di valere questa BATTAGLIA.

Stefania

Il coraggio non è avere la forza di andare avanti, è andare avanti quando non hai più forze” Napoleone Bonaparte

Immagine di copertina tratta dal Quadro Rosa del Maestro Gianpietro Del Bono

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